Patrizia Licata
Da Patrizia Licata

Remote working nell’IT, scelta “obbligata” per attrarre i talenti

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21 Jun 20238 minuti
AssunzioneLavoro a distanza

Negli enti pubblici come nelle imprese private, i candidati cercano la possibilità di lavorare da remoto come criterio di base per accettare una proposta di lavoro. I CIO apprezzano la produttività dell’IT garantita dal lavoro flessibile, ma il ruolo dei leader e il modo di organizzare i team devono modificarsi. E non sempre la formula full remote è vantaggiosa, né per l’azienda né per la carriera. L’esperienza di Inail e Aci Informatica

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Credito: Shutterstock

Per attrarre talenti, la cosiddetta talent retention, nell’IT non serve più la stabilità del posto di lavoro. Basti pensare che, nell’ultimo concorso indetto dall’Inail, l’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, per 41 ruoli IT nella direzione del personale, si sono presentati quasi 900 candidati, di cui 70 hanno avuto accesso alle prove, 21 le hanno superate e sono stati assunti e, a due anni di distanza, cinque di questi professionisti sono già andati via. “Le figure tecniche non sono più attratte dal posto pubblico. Le competenze IT sono fortemente ricercate e, nel privato, i professionisti possono aspirare a stipendi più alti e a percorsi di carriera più veloci”, afferma Stefano Tomasini, direttore centrale organizzazione digitale di Inail. Ma c’era un altro elemento che mancava nella proposta dell’ente pubblico e che ha determinato l’alto tasso di abbandono: il remote working e le vari declinazioni smart, hybrid, eccetera, che definiscono il lavoro svolto interamente a distanza o per alcuni giorni alla settimana o al mese, in base agli accordi contrattuali nello stesso orario d’ufficio, non era previsto per i primi sette anni di impiego.

“Le nuove generazioni puntano su un ambiente di lavoro interessante e flessibile e la prima domanda nel colloquio è sempre sulla possibilità di fare smart working”, evidenzia Tomasini. “Inserirlo è indispensabile per attrarre e trattenere i talenti, che spesso preferiscono lavorare nelle loro città di provenienza in modalità remota”.

Di qui, la decisione dell’ente di sperimentare il lavoro agile con il personale delocalizzato. E lo smart working funziona, sottolinea Tomasini, anche in termini di efficienza e produttività del lavoro.

Inail: anche nel pubblico i lavoratori IT vogliono flessibilità

La direzione IT dell’Inail impiega circa 200 persone e gode di una certa autonomia nella gestione; per esempio, e, oltre ad avere personale e sede dedicati, ha una funzione dedicata all’organizzazione interna e un suo ufficio acquisti. Lo smart working viene svolto, però, in base alle regole che vigono per tutto l’ente e la Pubblica Amministrazione, ovvero il 50% del personale usufruisce di 8 giornate al mese per il lavoro remoto. Non sono molte e un po’ di flessibilità in più non guasterebbe, lascia intendere Tomasini.

“Potendo scegliere, quasi tutti i candidati tecnici vogliono lo smart working. Assumere senza offrire neanche un giorno di lavoro remoto è davvero difficile”, evidenza Daniele Bacchi, CEO di Reverse, società di head hunting e recruiting (ed ex CIO a sua volta). In base ai dati elaborati da Reverse sul suo database, il 60% dei professionisti IT in Italia già fa remote working al cento per cento. Gli altri dicono che scarterebbero un’offerta di lavoro che offre meno di due giorni a settimana in smart working. “Se non può offrire il lavoro remoto, il CIO deve essere molto convincente per riuscire ad assumere”, indica Bacchi.

I numeri dello smart working in Italia

Nel 2022, i lavoratori da remoto, in Italia, erano circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021, con un calo nella Pa e nelle Pmi, e un leggero, ma costante, incremento nelle grandi imprese, che contano in totale 1,84 milioni di lavoratori smart. Per il 2023, è prevista una lieve crescita del totale a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico, secondo le stime dell’ultimo Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

Lo smart working è presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese. Nella Pa, invece, è passato nel 2022 al 57% degli enti (contro il 67% del 2021) e una media di 8 giorni di lavoro da remoto al mese, secondo le disposizioni del precedente governo.

L’esperienza di Aci Informatica

Il sistema pubblico ha, come noto, le sue regole nelle assunzioni e nell’offerta di remote working. Il caso di Aci informatica è, però, un po’ differente. L’azienda è la in-house dell’Aci (l’Automobile Club Italia) per i servizi informatici. Pur essendo Aci un ente pubblico, Aci Informatica è un’azienda privata.

“Le giovani generazioni hanno un nuovo approccio al lavoro, che la pandemia ha contribuito a rafforzare: la possibilità di fare smart working è una delle richieste di base. Se non esiste un’offerta di lavoro remoto il candidato tende a rinunciare”, afferma Vincenzo Pensa, Direttore sistemi informativi e innovazione di Aci Informatica. “Per i dipendenti IT diretti di Aci Informatica c’è la possibilità di concordare i giorni in remote working in base alle singole esigenze, del lavoratore e dell’azienda. Per i dipendenti IT di Aci vige la regola degli 8 giorni al mese della Pa, ed è un vincolo che a volte ci sta stretto”.

Vantaggi e svantaggi nel lungo termine

Nell’esperienza di Pensa, il lavoro remoto del personale IT funziona bene in termini di produttività. C’è, invece, un potenziale impatto sull’organizzazione aziendale. Il remote working è stato finora per lo più applicato a dipendenti che hanno formato le loro competenze e capacità relazionali (hard e soft skill) nel lavoro in sede. Quando questo modello si trasferisce su persone che non sono cresciute in ufficio, ma sulle nuove generazioni che conoscono quasi solo lavoro a distanza, il rischio è che si creino team poco coesi e che i dipendenti smart siano alla fine isolati, con ricadute negative per la produttività, nonché per la crescita professionale e il benessere delle persone. “Credo che, in prospettiva, il paradigma dell’hybrid work sia da preferire. E richiederà un ulteriore cambiamento organizzativo”, afferma Pensa.

Nemmeno Tomasini crede nel remote working al cento per cento: meglio la formula ibrida, che prevede una parziale presenza in ufficio. “L’aspetto di socializzazione è fondamentale”, sottolinea il Direttore di Inail; “inoltre il lavoro in sede con tutto il team e i manager permette una più efficace condivisione dei valori aziendali. E le nostre risorse concordano con questa visione: non abbiamo avuto alcuna difficoltà a riportare le persone in ufficio dopo la pandemia”.

“I ruoli tecnici lavorano meglio da remoto, se sono professionisti seri, ovviamente. La produttività da casa è più alta per figure come i programmatori software, che hanno bisogno di un’alta dose di concentrazione”, secondo Bacchi di Reverse. Ma anche andare in sede offre dei vantaggi: “Si conoscono le persone, si comprende la cultura aziendale e si impara di più”.

Tecnologie e metodi del remote working nell’IT

A livello tecnologico, la direzione IT di Inail ha puntato sulla creazione di una “scrivania digitale”, che dà ai dipendenti, ovunque si trovino e qualunque device usino, uno strumento per la comunicazione e la condivisione sicura. Questa soluzione si basa su una delle suite software più diffuse, ed è la via seguita dalla maggior parte delle organizzazioni pubbliche e private per permettere a team diffusi di collaborare.

Al di là delle soluzioni IT, un modello di lavoro a distanza che funziona richiede un rinnovamento del ruolo del direttore IT. “Il CIO dovrà acquisire nuove competenze per organizzare le attività di team building”, afferma Bacchi. “Per esempio, anche nel full remote working si possono prevedere appuntamenti in ufficio per specifiche occasioni di condivisione. Oppure, si attuano alcuni piccoli rituali, come il collegamento comune al mattino con uno stand up meeting, la riunione giornaliera in cui il team si riunisce alla stessa ora per allinearsi e risolvere eventuali problemi, e per fare il punto sul lavoro della giornata”.

L’Inail ha previsto un’attività di tutoraggio per il “manager digitale”, una sorta di formazione per rendere i leader sempre più abili nell’usare i nuovi strumenti di collaborazione. È essenziale saper aggirare gli eventuali ostacoli nella comunicazione e nello svolgimento dei progetti e riuscire a catturare esigenze e difficoltà di ciascun team e di ogni singola persona, pur se attraverso un display.

Pensa concorda: la formazione dei dirigenti e del personale è la chiave per il successo del remote working. “L’impegno del dirigente è maggiore – evidenzia il direttore IT di Aci Informatica – perché, se le sue risorse non sono in ufficio, deve diventare proattivo, farsi presente e trovare nuovi parametri per valutare le persone, basati sui risultati più che sulla presenza”.

Anche saper gestire le persone a distanza fa parte delle nuove competenze dell’era digitale.

Patrizia Licata
Da Patrizia Licata
Scrittore Collaboratore

Giornalista professionista e scrittrice. Dopo la laurea in Lettere all’Università La Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare come freelance sui temi dell’innovazione e dell'economia digitale. Scrivo anche di automobili, energia, risorse umane e lifestyle. Da una ventina d’anni collaboro con le principali testate italiane su carta e web.

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